
Sono 3600 i kili di ghisa con cui Anthony Gormley ha fuso questa scultura che dialoga a tu per tu con Donatello e Michelozzo.
Siamo a Prato, in centro, è la solitudine di questo numero primo possiede la geometricità di Mondrian e i colori bruciati dell’arte più contemporanea. E così nasce un dialogo tra le due arti, quella più antica e quella contemporanea. Il contrasto c’è, ma non stride, nè il colosso solitario sembra fuori di luogo.
Da che pulpito Michelozzo e Donatello!
Gormely ha incentrato tutto sulla soggettività: per lui il corpo è sede della mente e il corpo è quello stesso che si relaziona con l’architettura e con gli spazi naturali.
Soggettività, unicità e solutudine.
Silenziosa e immobile questa scultura è SHY, timida, col suo peso di 3600 kg e i materiali e i modi della rivoluzione industriale, in la ghisa.
Un’opera che attiva lo spazio e invita a prendere coscienza di sè anche mentale: questo è il messaggio più intimo della scultura, collocata in una spazio di tre secoli passati. Non c’è distonia di forme nè distonia cromatica nel loro accostamento, perchè l’innesto del contemporaneo sembra riuscito perfettamente.
Eppure una certa idea di spaesamento in quest’opera resta fortissima.
Tutto sommato non è la prima volta che un colosso contemporaneo viene proposto in dialogo con le architetture già esistenti e ogni volta non mancano le perplessità, i giudizi negativi sullla rovina di uno scenario perfetto.
La realtà è che l’arte che dialoga in questo modo richiede uno sforzo concettuale, un’apertura mentale per arrivare alle forme e alla sostanza di che cosa voglia significare questo insolito acostamento.