
Pierfrancesco Favino è IL TRADITORE Tommaso Buscetta, nel film di Marco Bellocchio.
L‘interesse che mi ha spinto ad andare a vedere questo film è in un certo senso tecnico, perché è un argomento collegato alla mia tesi di laurea in procedura penale: la valutazione testimoniale.
La valutazione di una testimonianza è una prova impossibile da testare in modo assoluto.
Non ci sono aspetti scientifici o tecnici che, da soli, rendano assolutamente veridica una testimonianza.
Il giudice è solo, come sempre, di fronte alla redazione della sentenza.
E in questo film la solitudine accompagna il protagonista e il suo giudice. Entrambi sono soli in senso assoluto.
Chi è Il Traditore?
E’ il pentito Tommaso Buscetta, interpretato da Pierfrancesco Favino: una sintesi professionale perfettamente riuscita tra personaggio e attore, tra persona e personaggio.
Anzitutto per un’ eccezionale corrispondenza fisiognomica, che rende il protagonista assolutamente veridico; poi per una meravigliosa recitazione e regia.
Bravissimi Favino e Marco Bellocchio.
Hanno rivelato uno studio attento e meticoloso della storia e del personaggio Buscetta, condotte con una forte capacità analitica e uno studio accurato.
Il film snoda una doppia analisi: sulla psicologia dei personaggi e sulla dinamica dei fatti, entrambe a mio avviso sono eccellenti.
Se la dinamica dei fatti è supportata dalla cronaca, l’analisi psicologica dell’uomo Tommaso Buscetta, della sua evoluzione emozionale e delle sue contraddizioni interiori, è merito di una grande regia e di un superbo Pierfrancesco Favino.
Traditore è un marchio generico, un aggettivo infamante che qui nasconde tutta una complessa dinamica pscologica. Il tentativo di scardinamento del sistema mafia (parola che che Buscetta dice essere un’invenzione giornalistica) ha ragioni remote, ideologiche, anche personali e familiari.
La storia di questo sistema criminale,infatti, è una storia complessa che snoda diversi punti di vista anche al suo interno. E’ un sistema creato e composto da uomini, e per questo destinato a frammentarsi perchè ognuno ha una sua mentalità individuale.
Quando Tommaso Buscetta dice che il termine corretto è “Cosa Nostra“, e non mafia, già racconta il senso del mondo criminale cui appartiene; un mondo che ha le sue regole e un suo specifico significato storico sociale. Ed è proprio perché le regole antiche di questo mondo sono state sovvertite, perché i suoi meccanismi sono stati alterati che Buscetta diventa “Il Traditore”.
Nella logica del film “Il Traditore” tradisce perché è tradito.
Tradisce perché il sistema cui appartiene sovverte le proprie regole e non è più lo stesso. Buscetta infatti non si definisce mai, né vuole essere definito “pentito”, perché lui denuncia il sovvertimento delle antiche regole.
Ma nel complesso mondo criminale e personale di Buscetta si affacciano anche molte altre ragioni del suo “tradimento”. Sono motivi che si capiscono, altri si intuiscono, altri ancora restano molto offuscati e poco chiari.
Pierfrancesco Favino ci regala tutte le espressioni di queste sfumature, tutti gli sguardi di un uomo che combatte una guerra interiore ed esteriore, attraverso schemi di pensiero che si sovrappongono. Ci sono più linguaggi che si intersecano; del resto, la lingua in cui recita Favino oscilla tra il portoghese e l’italiano che, quando serve, si colora anche di un siciliano stretto.
Quello che emerge da questo film è che il mondo della criminalità organizzata e in realtà un mondo complesso e articolato. Ognuno è pronto a morire, ma anche a tradire, e queste ragioni spesso hanno ragioni e colori del tutto personali. E il colore di questo film che ha tonalità scure tutte sue.
Qual è il grande pregio de “Il Traditore”?
Il pregio sono quegli interrogativi che ti lascia, perché il tradimento ha delle ragioni nascoste e il pentito Buscetta, come tutti i pentiti, non lo sono mai solo per ragioni univoche (conversione morale o sconto di pena) perché ogni tradimento allo Stato o alla criminalità ha comunque un prezzo da pagare.
Le ragioni del pentimento di mafia sono sempre molto complesse, ed è forse questo che i giudici, al di là delle rivelazioni, e del loro utilizzo giudiziario e processuale, si sfidano a comprendere.
E quest dinamica è perfettamente articolata in questo film nelle scene del confronto tra il giudice Falcone e il pentito Buscetta.
Sono scene meravigliose per gli aspetti umani che fanno emergere. Alla fine del dialogo, anche aspro, ci sono due uomini, ognuno nei propri ruoli; uno nei panni istituzionali e l’altro in quelli che ha scelto.
Ognuno ha una sua missione, una sua logica e un sistema di valori: quei valori altri che faranno scattare il giudice Falcone nella scena.
Tra Falcone e Buscetta non c’è solo un incontro tra giudice e pentito, o uno scontro tra Stato e mafia, c’è un incontro tra uomini in questo film. Entrambi sono votati alla morte, e diametralmente opposti nei valori.
Ma emergono anche delle zone grigie.
Sono le zone dei ruoli opposti che riescono a intersecarsi sugli aspetti umani più semplici: come una sigaretta, che è un attimo di tregua dalla fatica di vivere il proprio ruolo! Ed è in questo darsi l’attimo di relax, che leggi nel film il punto comune di essere uomini, quello in cui ti stanchi di combattere perchè cerchi nell’altro solo la comune umanità.
Il Traditore è un film che racconta bene certi punti di umanità nella disumanità di vite che hanno scelto il rischio assoluto; di ruoli opposti che disegnano la società fatta di bianco e nero, ma anche di tanto grigio.
Perché i colori di questo film sono tanti non colori, anche se c’è tanto nero, quello dei capelli di Favino/Buscetta (emblematica la scena in cui si passa la tintura per capelli).
E’ nero, è noir questo film, ma lo è di più nell’anima del Traditore, tecnicamente “pentito”.
Pentito di cosa, ma poi, pentito veramente?
Sono questi gli interrogativi di questo film: sono veri pentiti o sono solo stanchi di combattere e condurre una vita non vita; si tratta di vendette personali, o vendette di altro tipo?
Sembra che Buscetta /Favino elabori tutte le risposte a questi interrogativi.
“Il Traditore” e’ un film complesso, come una matassa cui dipanare i fili, e il film lo fa piano piano, analiticamente. Non perdi nessun filo di questa matassa, perché il film ti accompagna lungo tutto il percorso umano e processuale.
Non ci sono figure minori, Bellocchio li rende tutti protagonisti.
Il Traditore è un film che racconta la storia della mafia lungo un percorso psicologico, prima che storico.
Di storie ce ne sono tante: storie di famiglie, storie individuali e storie processuali.
Bellissime le scene del maxi processo: con quelle gabbie piene di imputati come bestie feroci che ruggiscono, ululano insulti e si rimbalzano maledizioni. Quei giudici, poi, così affannati di fronte a tale mostruosità processuale; chiamati a una fatica professionale di enorme portata: un processo monstre.
E poi c’è nel processo la dinamica del confronto tra menti così acute, sottili, e allo stesso tempo grezze: punte di diamante di questo film. Molti personaggi, compreso Buscetta, sono acculturati al livello di quinta elementare, ma ciò non toglie la loro sottile astuzia e notevole intelligenza.
Gli attori nel maxi processo sono eccellenti: la parte di Pippo Calò è perfetta anche nella fisiognomica e nella recitazione, e poi quella di Riina, con quello sguardo fisso e inesorabile. Sono tutti personaggi centrati nella recitazione e nella somiglianza.
Il dialetto stretto siciliano è il codice del loro mondo: inutili i richiami a parlare un italiano più comprensibile!
Poi eccellente la scena l’interrogatorio a Buscetta da parte dell’avvocato Coppi, attore scelto benissimo per l’acutezza dello sguardo e il piglio sicuro, rigoroso e incalzante. Proprio in questa scena vediamo per la prima volta un Buscetta esitante e in contraddizione e sorge il dubbio se le sue confessioni siano state del tutto attendibili. Si torna ancora una volta la problema che dicevo sopra della valutazione della prova testimoniale, come prova quasi impossibile da provare.
Invece, la figura di Andreotti, anche se ottimamente condotta sul piano scenico come parte minore nel film, l’ho trovata meno centrata nella somiglianza fisica; almeno stando al confronto con Toni Servillo che la recitò nel film “Il Divo“.
E poi, non importa, per noi spettatori, se questo film non ha ottenuto a Cannes 2019 i riconoscimenti che si aspettava e che meritava.
Perché è un film bellissimo che per essere pienamente apprezzato richiede, anche, la conoscenza di alcune realtà particolari.
Questo mondo infatti non è comprensibile solo attraverso i luoghi comuni, bisogna conoscere l’Italia, la cronaca italiana sull’argomento, e, magari, essere vicini al mondo giuridico, per avere strumenti in più.
Ma permettetemi adesso una nota personale perché mi sono commossa quando è terminato il film.
C’erano troppe cose che mi legavano ai temi trattati, dalla tesi di laurea, al Prof. Franco Coppi, che ho avuto l’onore di avere come docente di diritto penale.
E un grazie va, soprattutto, al Prof. Franco Cordero, il mio docente di Procedura Penale e relatore, perché mi ha insegnato l’analisi delle norme e ad andare oltre il loro senso letterale e tecnico.
[…] Marco Bellocchio, Alina Marazzi, Franco Maresco e Carlo Verdone, gli architetti Stefano Boeri, Renzo Piano e Vittorio Gregotti, gli artisti Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Jannis Kounellis; poi Lea Vergine e Goffredo Fofi, il sociologo Domenico De Masi, il giovane fotografo Luca Nizzoli Toetti, i grandi maestri come Ferdinando Scianna e Sebastião Salgado. Gli scrittori Maurizio Maggiani e Roberto Cotroneo, i giornalisti Mario Calabresi, Michele Smargiassi, Giovanna Calvenzi e Peppe Dell’Acqua psichiatra dell’equipe di Franco Basaglia; Marco Magnifico, vicepresidente del FAI e la street artist Alice Pasquini. […]