
Trascinata dalla fama di Quentin Tarantino e dalle critiche ho visto al cinema “C’era una volta… a Hollywood“.
Siamo nel 1969, data che fa la differenza perchè segna un cambio di epoca dagli anni Sessanta ai Settanta, rivoluzionari e contestatori. Ed è proprio questa crisi e questo passaggio di epoche che si avverte nel film che racconta la storia di una crisi e di un declino.
E’ un film che disegna la parabola discendente di un attore di film western (Leonardo di Caprio) e della sua controfigura e assistente (Brad Pitt) che entrano in crisi professionale di fronte a un mondo, anche cinematografico, che sta cambiando.
E’ un film che racconta un tramonto e una lotta umana, perciò commovente, ma alla Tarantino, e quindi raccontata con estro e genialità.
Lo stile di Tarantino è un non stile, perchè è tutto suo.
E’ originalità espressiva: scene, dialoghi e battute imprevedibili. Come al solito tra buffonesco e tragico, secondo il suo canone tragicomico. Quando non te lo aspetti arriva la battuta, il gesto ironico che rende tutto grottesco, e ti ritrovi a ridere nel pieno di una scena tragica, anzi splatter.
Sì, perchè in “C’era una volta… a Hollywood” si arriva anche allo splatter, ma rischi di riderci ed è questo che ti stupisce e ti scandalizza: un lanciafiamme che carbonizza e tu… scoppi a ridere.
E’ colpa di Tarantino, e del suo genio sottile e potente, convertire il noir in comico. Ed è un’operazione che a lui riesce facile, quasi naturale: il senso del tragicomico è un talento, probabilmente un’arte.
Due ore e quaranta minuti con un cast definito, giustamente, stellare (oltre Di Caprio e Brad Pitt, ci sono Al Pacino e Margot Robbins) che non senti, perché non c’è una scena inutile né superflua.
E’ un film che rivedrei, e lo pensavo mentre lo stavo guardando, chiedendomi cosa ci fosse di così completo.
Di completo c’è, lo snodo della storia, la luce (quasi sempre calda come fa Woody Allen) i costumi, la ricostruzione delle scene, lo spirito di un’epoca: tutto è una commistione dosata e in equilibrio.
Un film bello è bello perché funziona tutto.
Gli attori, parlo dei protagonisti, sono una coppia perfetta e riuscita: ognuno nella sua parte, chi forte e chi debole, ma ognuno incardinato nel suo ruolo.
Leonardo Di Caprio molto bravo nel recitare le emozioni e i momenti di sconforto: rassegnazione, rabbie, piccole astuzie e cedimenti emotivi. Brad Pitt è il perdente vincente: il personaggio forte, fisicamente e moralmente, rassegnato ma che vola alto e difende tutti.
“C’era una volta… a Hollywood” è un film che racconta la Hollywood meno Hollywood, quella meno smart, più scomoda e complicata. Quella Hollywood fatta di attori in bilico che si barcamenano tra vecchie glorie e riadattamenti molto meno prestigiosi. Quegli attori superati che non trovano più ruoli se non marginali.
Qui si va in Italia a fare spaghetti western e forse l’Italia, che Tarantino ha nel sangue, fa sentire la sua voce anche vista con occhi americani.
Sicuramente c’è tutta l’America di fine anni Sessanta in questo film, vista con gli occhi di un Tarantino e perciò raccontata secondo canoni di libertà e fuori da qualsiasi stile che non sia il suo.
Beh, a me piace!
Mi ritrovo pienamente nel suo senso del tragicomico, perchè la vità e spesso così, e perchè è giusto raccontarla secondo un canone personale, ma raccontarla bene.
Poi l’epilogo ha fatto discutere: molti lo hanno considerato un finale sospeso, senza senso, che ha tolto valore a tutta la storia, mentre io credo che il finale sia stato un colpo di genio.
Per chi conosce la storia della tragedia di Sharon Tate questo è un finale che vale una delicatissima dichiarazione d’amore.