
Un incontro letterario: IL BATTITO DELLA PENDOLA di Federico Colucci
Angelo Pontecorboli editore-Firenze
Ediz.Luglio 2016
Pagine 89

di Emanuela Dottorini
Federico Colucci è uno scrittore che assorbe i suoi pensieri nella filosofia, sua prima materia di studi e di professione.
E’ come se traducesse all’istante i pensieri che gli attraversano la mente e li colorasse con le sue visioni oniriche, e per far questo non ci fosse modo di interrompere le frasi con capoversi o inserire punti interrogativi.
Nell’epoca dell’assoluta presenza sia spaziale che temporale solo la scrittura può ritornare a vivere il mistero della lontananza. Il fascino della distanza. L’enigma dell’intervallo quando si è sospesi tra un già e un non ancora. Scrittura come fluire della fantasia, dei ricordi, delle immagini sovrapposte nella confusione dei ricordi. La scrittura, così, apre percorsi tortuosi, incogniti, pericolosi, inaffidabili che si intraprendono nell’ansia di morte libertà, evanescenti, inesistenti. La penna scava sentieri fatti di insidie, nella polvere della memoria – che sempre ci guida mentre ci illudiamo di andare verso il futuro. Infinite combinazioni del presente. Infinite variazioni del passato. Infinite notti separate da infiniti giorni. Lagune ardenti. Boscaglia notturna su cui la luce del giorno stende un troppo sottile velo di rassicurante oblio. Solo la scrittura può accompagnare la condizione di spaesamento in cui vive l’uomo contemporaneo. Accompagnare e non contrastare o curare. Attraverso la scrittura ci si può perdere in lidi confusi, non ordinati dallo spazio e dal tempo. Porte che si aprono su quadri il cui legame è costituito soltanto dal movimento dello spettatore come nel percorso di un museo dove le immagini apparentemente esterne si mescolano a quelle interne in un puzzle che ogni istante si compone e si scompone in combinazioni e modi diversi. La scrittura può essere spaesante come la dodecafonia e l’arte astratta. Può essere polisemica rimanendo sempre comunque equivoca. E così la scrittura mostra quella che chiamiamo realtà in tutta la sua equivocità che è poi la libertà fantastica dell’immaginazione dei bambini. Quella che tutti cercano di diluire nella razionalità.
Forse i miei personaggi si sperdono poi ritornano nella platea della fantasia e della memoria da cui sono venuti. Forse.
La musica è prima di tutto il ritmo della memoria e della fantasia che poi si trasforma nel ritmo della scrittura. Perché la scrittura prima ancora di essere contenuto è ritmo.
Venezia è il non luogo dello spaesamento.
La presenza femminile sempre presente nei miei scritti che, secondo quanto ebbe a dire Gioachino Chiarini durante la presentazione di un mio libro, è Diotima, forse è l’autoironia che mi affianca inesorabile quando scrivo.
Federico Colucci è spesso criptico, quasi capriccioso nel non volersi rivelare, e muove abilmente luoghi e personaggi quasi volesse giocare a scacchi con i lettori. Ma è uno scrittore che in realtà ama prima di tutto essere letto ed è proprio tra le pagine del libro che disvela se stesso.
Perchè: ai tempi del coronavirus questo scrittore ci fa apprezzare il fascino della distanza.