
Karl Ove Knausgaard scrive i suoi libri come se facesse dei ricami microscopici nel tessuto della vita.
La sua scrittura è così originale e insolita che diventa un autore da molti amato e da molti aspramente criticato: da alcuni definito il Proust contemporaneo, per quel suo modo di raccontare la vita in maniera ossessiva e cronachistica, da altri un assurdo scrittore di quotidianità.
Knausgaard è uno scrittore che invece io amo molto e di cui ho letto tutti i volumi tradotti in italiano, della sua famosa saga “My Struggle”: per ora in Italia siamo al quinto volume.
Come mi ero ripromessa nei buoni propositi del 2019 ho letto il quinto volume dal titolo:“La pioggia deve cadere“.
E’ un tomo corposo (un cosiddetto mattone) di 600 e più pagine, voluminoso come tutti gli altri della grande saga intitolata “La mia battaglia”.
Rappresenta la battaglia della sua vita, quella che si combatte quotidianamente nelle piccole o nelle grandi cose: nessun dettaglio è tralasciato, nessun attimo trascurato, come in un film esistenzialista.
La forma è quella di una saga letteraria a cui mi sono appassionata qualche anno, fa scoprendo in questo autore un modo insolito di scrivere, potrei dire postmoderno, ma ha qualcosa di originale tutto suo.
Sono d’accordo sull’associare Knausgard a Proust.
Questo scrittore norvegese contemporaneo, che si ama o si odia, non va sottovalutato: è molto colto ed è prima di tutto, lui, un grandissimo lettore. La sua formazione, in parte accademica e in parte autodidatta, lo ha reso uno scrittore innovativo.
Non assomiglia a nessuno e per questo ha destato molte perplessità e ha creato un certo scandalo.
La caratteristica di Knausgard è di raccontare la sua vita con una minuzia quasi ossessiva, costruendo una sequenza di still life e di ambientazioni che si spostano in modo non rigorosamente cronologico; come se facesse un montaggio cinematografico della sua vita. L’abilità di scrittore si percepisce proprio in questo sapiente spostamento di scene e di tempo, che finiscono per dare un quadro complessivo e omogenero dei suoi trascorsi anni di vita.
Leggendo Knausgard viene da riflettere su come egli abbia osservato e trascritto la sua vita con un tale rigore narrativo e abbia ceduto alla libertà di scegliere come farlo.
Ci vuole un coraggio da leoni a mettersi a nudo l’esistenza!
I volumi non sono in sequenza esatta rispetto alla sua vita; il primo, ad esempio, la ripercorre tutta a partire dal fatto centrale che è la morte di suo padre (che peraltro dà il titolo al primo volume), procedendo successivamente per ambienti e periodi differenti.

I volumi successivi al primo raccontano, invece, la sua vita familiare e la sua formazione con una sequenza temporale un po’ più ordinata.
Vi dico subito che non mi sono interessata a certe polemiche a proposito del titolo della saga (“La mia battaglia”); invece, sono stata molto colpita dall’innovazione del modo di scrivere.
Mi sembra che lo stile di Knausgard sia semplice e fluido e che non ci siano fratture notevoli con la prosa contemporanea. L’innovazione è il contenuto, quello che ha scelto di scrivere: praticamente tutto della sua quotidianità. Anche lo squallido, il sudicio, i suoi sbandamenti, i suoi pensieri più discutibili. Emblematica è la narrazione minuziosa della rimozione del sudiciume che trova nella casa dove è morto i padre. Descrive persino il risciacquo dei panni, la marca di detersivo e l’accanimento a ripulire tutto.
Al di là del fatto domestico io ci leggo invece una profonda metafora sulla ricerca di una pulizia interiore e di una desiderio, inespresso, di restituire dignità a una morte del padre non proprio edificante.
Quello che è innovativo è il contenuto.
Che è il dispiegarsi della sua vita attimo per attimo: è leggere come si snoda, come si alternano i suoi gesti e i suoi pensieri; cosa mangia, cosa beve, cosa legge e cosa compera.
Ed è un incessante, lento e deflagrante modo di raccontare tutto, anche la noia e la stasi delle giornate. Persino le descrizioni così numerose e meticolose dei paesaggi, delle strade sono ricami microscopici del tessuto della vita.
E’ un intreccio descrittivo profondo e impossibile da dipanare: paesaggio, natura e pensieri sono quasi sempre un tutt’uno.
Questo volume è il quinto: “La pioggia deve cadere”. Ci sta scritta tutta l’esperienza della vita universitaria di Knausgard: dall’Accademia di scrittura, agli anni dell’università. Ne viene fuori una serie di esperienze di vita così lontane dal nostro mondo. Ragazzi appena ventenni catapultati fuori dal loro mondo familiare; alle prese con problemi d alloggio, di quadratura di conti, di ricerca di lavori part time.
Knausgard racconta se stesso nel bene e nel male, ed è questo che ha scandalizzato.
Racconta quello che nessuno direbbe: delle proprie debolezze, della sua fragilità e dei dei propri crolli, di piccole vigliaccherie e menzogne, di invidie professionali verso i migliori amici e di come riconosca chi è migliore di lui.
Ma lo racconta con quel modo nordeuropeo di essere dentro la realtà e nello stesso tempo distaccato emotivamente. Anche quando è nel pieno delle proprie emozioni Knausgard sa raccontarlo con distacco.
Questo è vincente.
E’ un modo assolutamente schietto e senza veli di raccontarsi, restando uno scrittore “elegante”.
E raccontarsi per quello che si è rappresenta un atto di devozione verso i lettori: un affidarsi completamente a loro.
Per questo suo modo di raccontare la verità sono nati dei problemi per le persone che Knausgard ha raccontato. E’ stato giusto o no mettere a nudo la loro vita e le loro anime?
Io l’ho interpretato come il prezzo inevitabile e obbligato del suo modo di raccontare. Ho letto, però, che alcune parti sono state leggermente romanzate, cioè sono state “smussate” dalla realtà, e quindi ho capito che in fin dei conti il prezzo che Knausgard ha dovuto pagare, in termini di lamentele, indignazioni e offese, lo aveva comunque messo in conto.
Non per questo i suoi libri mi sono piaciuti di meno.
Invece mi sono chiesta e mi chiedo continuamente: chi altro avrebbe mai il coraggio di raccontarsi così totalmente?